NARRARE LE ORIGINI AL PROPRIO BAMBINO

Nascere con la fecondazione assistita

Di Valentina Berruti e Luisanna Catalano

Una delle domande più comuni che i pazienti ci portano in stanza di terapia è se narrare o meno ai figli nati da fecondazione come sono nati. La situazione si complica quando la domanda ci viene posta dalle famiglie che stanno decidendo se affrontare, o meno, un percorso di fecondazione con donazione di gameti. Il nostro compito come terapeuti non è quello di spingere le coppie a fare una scelta piuttosto che un’altra ma di avere uno spazio dove analizzare il significato dei propri dubbi e dell’eventuale scelta. Uno degli elementi più importanti , infatti, è che la coppia abbia avuto uno spazio di confronto che gli consenta di comprendere qual è la scelta migliore per quella tipologia di famiglia. E’ indubbio, però, che negli anni molti operatori del settore si sono interrogati sulla possibilità di guidare le coppie nella scelta di dirlo, soprattutto nei casi di fecondazione assistita con donazione di gameti. Eclatante è il caso del belga Guido Pennings (2017) professore di etica e bioetica che nel suo articolo dal titolo: “Disclosure of donor conception, age of disclosure and the well-being of donor offspring” era arrivato a concludere che la consulenza direttiva verso la “rivelazione” non poteva essere consigliata per garantire il benessere psicologico dei figli. In realtà sono state numerose le reazioni alle critiche di Pennings in quanto diversi studi sui bambini e gli adulti nati da donazione hanno concluso che quanto prima viene detto ai bambini, migliori sono i risultati e che scoprirlo più tardi può determinare dei danni psicologici (Golombok, 2017; Pash et al. 2017; Crashaw et al., 2017). E’ infatti indubbio che il bambino nasce nel linguaggio e privarlo di informazioni indispensabili per la costruzione del proprio se’ significherebbe privarlo della possibilità di costruire in maniera adeguata la propria identità. I bambini sono attenti osservatori ed è molto facile che arrivino a percepire la presenza di qualcosa che gli è nascosto e questo può trasformarsi in un sentimento di sfiducia verso se stessi (M. Riccio, 2021) e quindi anche verso gli altri. In aggiunta credo sia fondamentale fare una distinzione tra rivelazione e narrazione delle origini. Le famiglie che accogliamo in stanza di terapia devono sapere che il termine “rivelazione” implica la manifestazione di fatti nascosti e contiene il germe del segreto e della vergogna che potrebbe essere molto pericoloso nel momento in cui si decide di raccontare al proprio figlio la sua storia. Più che “rivelare” la famiglia dovrebbe narrare al proprio figlio la sua storia in quanto il termine implica semplicemente l’atto di raccontare qualcosa che è accaduto e che fa parte del modo in cui alcune persone possono venire al mondo. Le tecniche di fecondazione assistita introducono un elemento di “diversità”, dato dal fatto che il concepimento non avviene in modo spontaneo. La differenza nella famiglia deve poter essere accolta, elaborata ed integrata nel vissuto familiare. Raccontare il percorso della fecondazione eterologa è fondamentale per accompagnare il figlio verso la costruzione di un’ identità stabile e coerente in cui sia possibile, per lui, riconoscere una continuità tra passato, presente e futuro. Costruire la propria identità è, infatti, un processo lungo e complesso che inizia proprio dal modo in cui siamo pensati, desiderati e concepiti dai genitori. Per tutti questi motivi è importante che gli psicologi accompagnino le famiglie a comprendere quale sia il significato della scelta che i genitori hanno portato avanti. Non crediamo, però, nell’utilità di un sostegno psicologico direttivo in cui debba essere il terapeuta a dire cosa fare. Il terapeuta deve aver fiducia nelle risorse della famiglia e dare principalmente consapevolezza, ma sarà poi la famiglia a decidere cosa fare e come utilizzare gli elementi scaturiti dal sostegno psicologico e/o dalla psicoterapia a cui si sono sottoposti. Rimanendo nell’ambito della consapevolezza credo che sia molto utile che il terapeuta ricordi cosa c’è scritto nel consenso informato allegato alla legge 40/2004 in merito alla possibilità di salvaguardare la salute del proprio figlio. Il consenso, infatti, recita chiaramente: “la possibilità che il nato da fecondazione di tipo eterologa, una volta adulto, possa essere oggetto di anamnesi medica inappropriata, se non a conoscenza delle modalità del proprio concepimento”; che significa per quella famiglia tale informazione? Quello che va ribadito alle famiglie è che non esiste una scelta che porti solo vantaggi. Ogni scelta, sia nel narrare, sia nel non narrare le proprie origini, avrà delle conseguenze che non possono essere previste a priori. Oltretutto è fondamentale ricordare ai genitori che le paure che manifestano parlano delle paure dei genitori e non dei figli. Quello che ci portano parla di loro e non dei figli, che vivranno in un epoca diversa e con una cultura differente da quella in cui hanno vissuto i genitori. Narrare ai figli le proprie origini è sicuramente la scelta più facile ma non è priva di conseguenze come qualunque scelta nella nostra vita. “La clinica familiare ci insegna che è impossibile non trattare delle origini, qualsiasi esse siano. I vuoti delle origini si traducono in lacune gravi dell’identità personale, perchè è resa impossibile la rappresentazione e con essa, la narrazione. C’è una responsabilità dei generanti rispetto ai generati e questo riguarda innanzitutto la gestione del tema delle origini” (Scabini, Cigoli, 1999). In conclusione il compito del terapeuta è quello di accompagnare le famiglie nella consapevolezza e nel significato della loro scelta ricordando ai genitori che il progetto genitoriale è un atto intenzionale che non ci garantisce e non dovrebbe essere portato avanti con l’obiettivo di farsi amare dai propri figli. Essere genitori significa principalmente essersi emancipati dalla propria famiglia di origine, aver realizzato se stessi e aver deciso di prendersi la responsabilità di crescere un altro essere umano che in futuro, come individuo altro da noi, potrebbe non condividere le scelte che sono state prese dai suoi genitori. Detto questo il problema non è tanto se narrare o meno le proprie origini al proprio figlio, ma aiutare le coppie a comprendere su cosa è stato fondato il progetto genitoriale. Un progetto genitoriale adulto infatti non richiede ai figli l’approvazione delle proprie scelte e la legittimazione del proprio ruolo.

Bibliografia

– Crawshaw M., Adams D., Allan S., Blyth E., Bourne K., Brügge C. , Chien A., Clissa A., Daniels K. , Glazer E., Haase J., Hammarberg K.,van Hooff H., Hunt J., Indekeu A., Johnson L., Kim Y., Kirkman M., Kramer W., Lalos A., Lister C., Lowinger P., Mindes E., Monach J., Montuschi O., Pike S., Powell S., Rodino I. , Ruby A.,Schrijvers A.M. , Semba Y., Shidlo R. , Thorn P., Tonkin L. , Visser M., Woodward J., Wischmann T. , Yee S. , Zweifel J.E. Human Reproduction, Volume 32, Issue 7, July 2017, Pages 1535–1536,

– Golombok S. (2017) Disclosure and donor conceived children, Human reproduction, July 1, 32(7): 1532-1536

– Pasch L.A. Benward J. , Scheib J.E. , Woodward J.T. (2017) “Donor conceived children: the view ahead” Human Reproduction , 1 32(7): 1534

– Pennings G. Disclosure of donor conception, age of disclosure and the well-being of donor offspring”(2017) , Human reproduction, May 1, 32(5): 963-973,

– Riccio M. “La diversità d’origine. Il modello sistemico-relazionale nei nuovi scenari di genitorialità” FrancoAngeli 2021.