La vita di coppia dopo l’arrivo di un figlio. Cosa cambia e come ritrovarsi

La nascita di un figlio è un evento del ciclo di vita che cambia profondamente le dinamiche della coppia.

Si può tranquillamente affermare che già quando si desidera allargare la famiglia gli aspiranti genitori iniziano a fantasticare su come potrebbe essere questa esperienza e quanto, l’arrivo di un terzo, possa modificare il loro modo di stare insieme. Tuttavia, è ancora più importante comprendere perché si deciso di portare avanti un progetto genitoriale. Un figlio infatti può essere il completamento di un relazione soddisfacente ma può anche essere l’unico motivo che tiene unita la coppia o addirittura potrebbe avere l’obiettivo di ricucire un rapporto in crisi: ed è in questi ultimi due casi che ci sono maggiori probabilità di creare situazioni disfunzionali. Anche l’aspettativa sociale (Di Vita, Giannone, 2007) influisce notevolmente sul modo in cui ci si prepara a questa nuova avventura. Non è raro incontrare degli aspiranti genitori per i quali il desiderio di un figlio è dovuto ad un mandato sociale esterno in cui la famiglia è riconosciuta tale solo nel caso in cui il progetto genitoriale sia stato realizzato. Per tutti questi motivi è importante chiedersi perché si desidera un figlio, in quanto è proprio indagando l’origine della scelta che è possibile affrontare le problematiche insite nella genitorialità. Come psicoterapeuta familiare, sono portata per formazione ad affrontare queste tematiche valutando quanto la coppia si sia emancipata dai propri genitori. A tal proposito Bowen, come precursore della teoria evolutiva della famiglia, può darci indicazioni su come intervenire nei sistemi familiari che stanno progettando o vivendo il passaggio dalla diade alla triade. La sua teoria si fonda sul concetto di massa indifferenziata dell’Io familiare, che non è altro che una specie di stato fusionale che interessa tutto il sistema gruppale e nel quale non si percepisce dove comincia il sé dell’uno e dove termini quello dell’altro. Secondo tale concettualizzazione tutti gli individui nascono essendo totalmente indifferenziati dall’Io familiare e se vogliono diventare adulti devono contrastare quelle forze emotive che tendono a mantenere uno stato eccessivo di coesione familiare che non gli permette di essere pienamente artefici e responsabili della propria vita. Differenziarsi significa, quindi, raggiungere una maturità emotiva completa (Bowen, 1979) nella quale le scelte personali sono indipendenti dalle aspettative esterne. Avere consapevolezza di cosa ci ha portato al desiderio di avere un figlio è, di conseguenza, il primo passo per comprendere come affrontare il cammino dalla coniugalità alla genitorialità. Cosa accade allora alla coppia che scopre di aspettare un figlio? Il primo sentimento è sicuramente di gioia ma a questo si associa un senso di timore per il forte cambiamento che la nuova situazione comporta. Oltretutto, se molti libri si concentrano su cosa ci si deve aspettare a seguito della nascita di un bambino ne esistono pochissimi che parlano di come aiutare i neo genitori ad affrontare un periodo di grandi cambiamenti e spesso il confronto con chi c’è già passato non aiuta sempre a capire cosa accade veramente quando un bambino entra a far parte di una famiglia che prima era composta da due individui completamente autonomi. Molte persone preferiscono soffermarsi a parlare di quanto sia meraviglioso e quanto amore possa scaturire il nascituro, mentre viene minimizzato l’impegno psicologico, emotivo e di tempo che servono per gestire la nuova situazione. Se durante la gravidanza ci siamo immaginati e ci siamo interrogati su che tipo di genitori saremo stati, proprio quelle previsioni vengono messe in discussione nel momento di formazione del nuovo assetto familiare. La teoria infatti è molto diversa dalla pratica. Quando si esce dall’ospedale, e il bambino fa ingresso nella casa, si possono avere varie reazioni che non devono far paura. Il parto, lo stress, il repentino cambiamento possono generare sentimenti di sconforto perché nessuno sa realmente cosa fare e, anche se si è partecipato a più di un corso preparto, sembra che tutte le informazioni apprese siano improvvisamente poco praticabili. Ad esempio l’allattamento che, giustamente, viene indicato come il metodo di elezione per nutrire il proprio figlio può non partire nel migliore dei modi e oltre alla stanchezza fisica della neo mamma si presenta la difficoltà psicologica verso un compito che si credeva potesse avvenire in maniera automatica. In questi casi è importante legittimare il proprio stato d’animo e saper chiedere aiuto. Un aiuto non delegante ma collaborativo e il più possibile rispettoso della privacy e della quotidianità della nuova famiglia. In passato le mamme erano supportate dalle donne della famiglia e, nel caso il latte non fosse stato sufficiente, ci sarebbe stata una balia a sopperire a tale mancanza. Ora le donne si trovano spesso sole ad affrontare il puerperio ed è proprio questo mancato supporto a generare momenti di forte disagio. Oltretutto c’è una grossa spinta all’allattamento che, seppur giusta, non deve diventare un’ossessione o un obbligo necessario per confermare il proprio ruolo materno. Non tutte riescono ad allattare, o vogliono farlo, e la scelta di utilizzare il latte artificiale non deve far sentire queste donne come delle madri di serie b. In aggiunta si tende a pensare che l’allattamento sia una pratica di esclusività della madre, mentre sarebbe molto importante coinvolgere gli uomini e condividere con loro la bellezza ma anche la fatica dell’esperienza. Tanto è vero che sarebbe molto vantaggioso trovare degli espedienti per far sì che questo compito sia, in qualche modo, condiviso. Ad esempio, molti compagni potrebbero allora offrirsi per alzarsi di notte e portare il bambino al seno della madre, oppure una poppata della giornata potrebbe essere completamente delegata al padre grazie al latte che è stato precedentemente tirato dalla madre. Piccoli gesti che però fanno la differenza e ci fanno sentire parte di un progetto sinergico in cui gli impegni sono adeguatamente condivisi. La carenza di sonno è un altro aspetto che può minare profondamente l’equilibrio della relazione ed è importante prendersene cura senza sottovalutarla. Il primo periodo è il più difficile per l’impossibilità di poter staccare. Pertanto, se nelle prime settimane lo spazio che viene dato al bambino è centrale è necessario prepararsi per far sì che dopo pochi mesi dalla nascita del bambino si riesca a ritagliare dei momenti, individuali e di coppia, finalizzati a ricaricarsi sia fisicamente che psicologicamente. Non è sempre semplice. Molte donne fanno fatica a chiedere aiuto al proprio compagno in quanto credono che la crescita di un neonato sia un compito prettamente femminile. Si ha l’impressione allora che la maternità sia un ruolo che acquista un senso, e soprattutto un merito, solo nel caso in cui si esplichi con la fatica e il sacrificio. Tale predisposizione viene allora assecondata nei casi in cui la coppia fonda il proprio modo di stare insieme sulla rigidità dei ruoli. Basterebbe poco per cambiare la situazione. Prima di tutto è importante il dialogo. Se il nostro partner non riesce a capire da solo di cosa abbiamo realmente bisogno non significa che non è interessato a noi. Noi è raro incontrare delle donne che pretendono che i propri mariti possano prevedere le loro esigenze, ma la soluzione è nel chiedere direttamente cosa ci serve dando così l’opportunità all’altro di aiutarci nel modo migliore per noi. Se pensiamo che essere madre significhi prendere il controllo di tutto è molto probabile che si creino situazioni di sovraccarico emotivo che possono mettere a repentaglio la relazione. Per noi donne risulta allora fondamentale concederci la possibilità di chiedere aiuto, delegando anche al padre attività che, per errata convinzione, si pensa possano essere portate avanti solo della madre. Detto questo è ovvio che anche gli uomini devono cercare di aprirsi a nuovi modi di essere genitori facendo sì che i ruoli siano facilmente intercambiabili e si lavora principalmente per la felicità reciproca. Le coppie che stanno più male sono proprio quelle che non riescono a comprendere che dopo l’arrivo di un figlio si deve lavorare per ripristinare un nuovo equilibrio, ma si deve lavorare insieme. E’ chiaro che le maggiori problematiche si manifestano in quei sistemi familiari in cui le fondamenta che hanno dato vita alla famiglia sono fragili. Se infatti il figlio era l’unico progetto della coppia, è abbastanza sicuro che si avranno difficoltà a trovare le giuste risorse per gestire al meglio la fatica richiesta dal nuovo ruolo. Ad ogni modo se vi rendete conto di essere in questa situazione non colpevolizzatevi troppo ma, anzi, utilizzate questa consapevolezza in senso costruttivo riprendendo in mano le vostre passioni e i vostri progetti. Questo perché è importante iniziare questo cammino avendo già esplicato una sorta di realizzazione personale che vi servirà per ricaricare le batterie nei momenti più complessi. Un figlio non può essere l’unica ragione di vita. La genitorialità non potrà colmare quel senso di vuoto che si presenta in chi delega all’esterno la propria realizzazione personale. In tal senso il passaggio alla genitorialità può essere l’occasione per rivedere il proprio modo di essere e la propria relazione sotto un’altra lente. Ritrovarsi dopo l’arrivo di un figlio significa allora dare l’opportunità alle coppie che entrano in crisi di comprendere che cosa non funzionava nel loro rapporto. E a questo proposito è ponendo l’attenzione sullo spazio che si è deciso di dare al nuovo arrivato che si può far luce sul livello di benessere della relazione. Se lo spazio che si è deciso di dare è totalizzante, è fondamentale chiedersi perché si è deciso di fare così. E’ infatti molto comune pensare che una coppia possa rompersi a causa di un tradimento , ma non c’è “amante” più pericoloso di quello che può diventare un figlio. Indispensabile risulta quindi proteggere la coppia nell’espletamento di un progetto genitoriale maturo in cui la relazione a due non viene dimenticata ma, al contrario, arricchita dalla nuova esperienza. I figli non ci chiedono di essere soltanto genitori. I figli ci chiedono soprattutto di essere felici, sia come individui che come coppia, ed è nella flessibilità del proprio sistema familiare che è possibile trovare le risorse ma, soprattutto, le soluzioni alle nuove difficoltà. Un progetto genitoriale adeguato è quindi quello che permette ai coniugi di ritrovarsi in una complicità tesa al benessere reciproco. Di definire nuovi patti e nuove regole in cui il figlio non può e non deve diventare il centro su cui ruota tutto.

Bibliografia:

  • Bowen M.(1979) “Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare” Trad. It. Astrolabio Roma 1979
  • Di Vita A. M. , Giannone F. ( a cura di) “La Famiglia che nasce. Rappresentazioni e affetti dei genitori all’arrivo del primo figlio” (2002) FrancoAngeli
  • Williams G., Williams N., “Sopravvivere come coppia all’arrivo di un neonato” (2004) Effata’ editrice