E se poi non ci somiglia? Riflessioni sul ruolo genitoriale in un percorso di fecondazione assistita con donazione di gameti.

La fecondazione assistita eterologa è una tecnica che consente a chi è infertile di utilizzare i gameti di un donatore o di una donatrice per raggiungere lo scopo di portare avanti una normale gestazione. Questa opportunità viene proposta nei casi in cui si ha evidenza che esistano delle problematiche per le quali la possibilità di avere una gravidanza utilizzando i propri ovociti o spermatozoi risulterebbe molto bassa o addirittura nulla.
Come psicoterapeuta che si occupa di sostenere le coppie infertili incontro tutti i giorni questa tipologia di pazienti che si interrogano molto riguardo la possibilità di utilizzare o meno questa tecnica. Una delle domande più frequenti è: riuscirò ad amare un figlio che, molto probabilmente, non mi somiglierà? Riuscirò a sentire mio un bambino con il quale non ho nessun legame genetico?
Ovviamente Il mio compito non è quello di indirizzarli verso una determinata scelta, ma è quello di aiutarli ad analizzare il significato profondo dei loro dubbi poiché è proprio attraverso queste riflessioni che saranno in grado di trovare le risposte. E’ proprio analizzando cosa significa per loro la genitorialità che potranno comprendere la loro posizione nel processo di acquisizione di un possibile ruolo di accudimento. Per questo la procreazione medicalmente assistita (PMA), sebbene sia un percorso potenzialmente doloroso, dà la possibilità alle coppie di farsi delle domande su una competenza che, forse troppo facilmente viene data per scontata in chi non fa questo tipo di esperienza. Essere genitori non è un ruolo che si acquisisce con un mero atto procreativo. Non è quindi la capacità di generare dei figli a renderci genitori. Si potrebbe addirittura affermare che la maternità e la paternità si manifesti in una condizione psicologica di maturità determinata dalla capacità di riconoscere e di investire su un altro essere umano senza alcuna aspettativa. Essa può esistere a prescindere dal fatto che si sia stati in grado di generare. E’ quindi fondamentale indagare su quali sono le motivazioni che alimentano la brama ad avere dei figli. Se da un lato la soddisfazione di quel desiderio aiuta a riempire un vuoto, e quindi arricchisce una vita ritenuta insoddisfacente, è importante fare un passo indietro poiché non si può, e non si deve, delegare ad un altro essere umano la realizzazione di noi stessi. Paradossalmente è proprio fronteggiando i dubbi che la fecondazione eterologa fa emergere che questo bisogno viene smascherato con più facilità. Il profondo rifiuto della mancata somiglianza mette infatti in evidenza un desiderio identitario che viene sostenuto dall’idea che sia possibile accogliere un figlio solo se possiamo riconoscerci nei suoi tratti fisici. Questa apparente convinzione mette in evidenza una sorta di immaturità psichica per cui la relazione con l’altro può essere confermata solo da un elemento esterno. Tutto questo determina un legame illusorio poiché non sarà né la genetica né la somiglianza fisica a farci sentire madri o padri. La genitorialità, infatti, è prima di tutto una funzione che possiamo riconoscerci attraverso un percorso di crescita individuale. E’ nell’essere in grado ad accettare di amare un bambino che si discosta molto dal nostro ideale che si nasconde la possibilità di sentirci comodi nel ruolo genitoriale. Chiederci cosa accade se quel figlio non ci somiglia può quindi essere utile a comprendere cosa si nasconde dietro il desiderio di maternità e paternità. In fondo non è solo in un percorso di fecondazione assistita che questa domanda dovrebbe essere fatta. A ragion veduta ritengo che anche chi non ha problemi procreativi dovrebbe interrogarsi sul motivo che li spinge a desiderare ad avere figli. Nella fecondazione eterologa questa esigenza si manifesta chiaramente perché i dubbi insiti nella tecnica spinge la coppia a fare i conti con quello che la vita gli sta negando. Chi si trova di fronte a questa scelta deve infatti elaborare non solo il lutto per l’infertilità ma anche il lutto biologico determinato dal fatto che non si avrà nessun legame genetico con il figlio che arriverà. Chi è infertile è quindi chiamato a lavorare su tutti i significati che si nascondono dietro queste perdite. Per questo è importante che il desiderio non sia l’unico motivo nella scelta di una tecnica di PMA. Diventare genitori è un processo complesso, influenzato dalla cultura, dalla storia personale e famigliare di ciascuno di noi e che si esplica lungo l’intero arco della vita. Per questo è solo in un percorso psicologico evolutivo che questo progetto dovrebbe essere inserito. Ciò non vuol dire che si sarà dei “bravi” genitori solo se si saranno superati tutti i timori e i lutti che la fecondazione assistita comporta. Al contrario ci si sentirà adatti al ruolo se si riuscirà a guardare senza paura il dolore che accompagna costantemente chi non è in grado di avere figli naturalmente. Ci si riconoscerà nel compito se si riuscirà a lasciare andare quel senso di imperfezione che è fortemente radicato in chi scopre di essere infertile. Pertanto si acquisirà una genitorialità adulta se si avrà il coraggio di dire a noi stessi, ma soprattutto ai figli che verranno, che sarebbe stato molto meglio non essere infertili ma che si è stati in grado di affrontare questo destino con profonda accettazione, senso di responsabilità ma soprattutto amore incondizionato verso un altro essere umano che potrebbe essere così diverso da noi e per il quale, addirittura, non si ha nessun legame genetico.