Considerazioni sugli aspetti Psicologici della fecondazione eterologa (con donazione di gameti)

L’infertilità è una esperienza molto complessa e dolorosa che spesso non viene compresa appieno da chi non l’ha vissuta sulla propria pelle. Freud diceva che la generatività è la volontà dell’individuo di sopravvivere alla morte. Per questo motivo molte coppie infertili, avendo il timore di non poter lasciare nulla di sé alla generazioni future, convivono con questo senso di angoscia. Un po’ di tempo fa una donna che aveva vissuto l’esperienza dell’infertilità mi raccontò di sentirsi costantemente di camminare nelle sabbie mobili e che ogni tentativo andato male la faceva sentire risucchiata dal terreno fino ad arrivare a soffocare. Questa immagine così terribile spiega però chiaramente le sensazioni che mi riportano i pazienti in stanza di terapia. Chi è infertile ha quindi vari lutti da superare: Il primo è quello per la propria infertilità e, se si fa fecondazione eterologa, un’altro lutto da affrontare è quello biologico dovuto all’impossibilità di avere un figlio con cui condividere i propri geni. I vari lutti da elaborare fanno sentire le coppie difettose, diverse e poco generative. Il mio compito come psicoterapeuta è però quello di ricordare ai pazienti che si può essere generativi anche nell’infertilità. Si può affrontare questo percorso come una crescita interiore che, anche se può sembrare assurdo, può essere profondamente arricchente indipendentemente dal risultato che si riuscirà ad ottenere. Si può quindi affrontare questo viaggio con resilienza cercando di reagire in maniera positiva ad un evento che per sua natura si dimostra profondamente stressante. Fondamentale in questi casi è cercare di parlarne con chi sta vivendo la stessa esperienza senza sentirsi in colpa o avere vergogna per quello che si sta vivendo perché l’infertilità è una condizione che non avete deciso voi. Purtroppo l’opinione pubblica non vi viene incontro in questo. Spesso si parla di fecondazione assistita come qualcosa di innaturale ma chi esprime questo concetto ragiona senza sapere di cosa stia parlando. Lo psicologo Bartlett negli anni ’60 aveva teorizzato proprio questo concetto definendolo come pensiero quotidiano che è una tipologia di pensiero che entra in azione nelle moltissime situazioni problematiche della vita di ogni giorno e in cui le persone, senza compiere alcuno sforzo per essere logiche e scientifiche e, trascurando le lacune a loro disposizione, intendono ugualmente prendere una posizione che però non ha alcun riscontro nella realtà. Per questo vi invito a non farvi influenzare da chi parla senza cognizione di causa. Anche quando si parla di fecondazione artificiale si associa a questo aggettivo qualcosa di negativo. Nessuno però evidenzia che la parola “artificiale” deriva dal latino artificium, der. di artĭfex «artefice» e che quindi artificiale può essere spiegato come essere artefice di qualcosa che non poteva avvenire in un determinato modo e per il quale si è dovuta trovare una soluzione. In tal senso la fecondazione artificiale ci fa essere più responsabili rispetto ad una fecondazione avvenuta in maniera naturale. Quando incontro una coppia che si trova ad avere dei dubbi sulla scelta di una fecondazione con donazione di gameti la prima cosa che faccio è quella di dirgli che il mio compito non è quello di convincerli a scegliere una tecnica piuttosto che un altra, ma quello di analizzare le loro resistenze, le paure per fare in modo che siano davvero consapevoli e artefici della propria scelta. Una scelta che non può essere un ripiego. Una scelta per la quale bisogna aver almeno iniziato ad elaborare il lutto per l’infertilità e il lutto biologico. I dubbi che le coppie mi riportano in stanza di terapia sono i seguenti:

La paura di non sentire proprio il bambino: In questi casi cerco di ampliare la visione della coppia spiegando che la genitorialità è relazionale e non genetica e che l’amore verso un’altra persona non è influenzato dai geni. Ad esempio si ama il proprio compagno o marito eppure con lui non si hanno i geni in comune.

La paura che il bambino non ci somigli: Questo timore è molto comune ma se ci pensiamo bene anche chi è nato senza fare fecondazione assistita può non somigliare ai propri genitori. Oltretutto è bene introdurre il concetto di epigenetica che non è altro che “la trasmissione di tratti e di comportamenti senza cambiamenti della sequenza genica” (Di Mauro 2017). In pratica quello che si passa al figlio nato da eterologa sono i nostri sistemi di valori, i miti familiari, il modo di cucinare, il modo di parlare che fanno parte del nostro sistema familiare ecco perché quel bambino alla fine in qualche modo ci somiglierà. Oltretutto io credo che sia importante dare amore al proprio figlio poi se ci somiglia, oppure no, non è importante perché la condivisione delle proprie diversità non potrà che essere un’esperienza valorizzante.

La paura dei pregiudizio che il figlio potrebbe subire perché nato da donazione di gameti: Quando in stanza di terapia mi riportano questo timore cerco di far ragionare la coppia su un fatto concreto. Tutti noi da bambini, ma anche da grandi, subiamo dei pregiudizi. Noi viviamo nell’epoca del protezionismo dei figli ma la cosa più giusta che si può donare ad un figlio è proprio quella di insegnargli a fronteggiare i pregiudizi che si subiscono naturalmente nel percorso di crescita di ciascuno di noi. Io ad esempio sono stata bullizzata parecchie volte al liceo a causa della mia bassa statura e molti miei amici erano bullizzati per essere figli di genitori divorziati.

La paura se rivelare o meno al figlio com’è nato: Questo è un timore molto ricorrente ma la letteratura è molto chiara sui segreti familiari. I figli infatti riescono a sentire anche il non detto e i segreti vengono spesso percepiti dai figli come qualcosa di maggiormente terribile di quello che sono. Nella mia pratica clinica ho incontrato spesso famiglie con segreti tramandati di generazione in generazione che però venivano percepiti attraverso l’espressione di un disagio di uno o più membri del sistema familiare che si veniva a interrompere proprio quando il segreto veniva rivelato. Poco tempo fa ho intervistato inoltre una ragazza nata da fecondazione eterologa negli anni ’80 la quale mi diceva che il problema non era stato sapere di essere nata con donazione di gameti ma di averlo saputo a 21 anni. Già dai 3 anni infatti si possono cominciare a raccontare delle favole ai propri figli che percepiranno che la loro nascita è avvenuta per un gesto di amore e soprattutto che la loro nascita non è un’esperienza della quale vergognarsi. Strada per un Sogno ha da poco pubblicato un libro dal titolo: “Ogni favola è un Sogno “ che può essere utilizzato proprio per raccontare ai propri figli come sono nati. Oltretutto non rivelare ai propri figli come sono venuti al mondo gli toglierebbe dalla possibilità di imparare una cosa fondamentale: nella vita possono accadere delle cose terribili, come l’infertilità, ma che con la capacità di reagire in maniera resiliente si posso avverare i propri sogni. Per tutte queste ragioni non rivelare questo aspetto toglierebbe al figlio la possibilità di apprendere un insegnamento costruttivo e soprattutto positivo. Ecco non vi sembra che anche un’esperienza di infertilità possa essere trasformata in qualcosa di “fertile”? Nella vita infatti possono accaderci cose davvero difficili ma sta a noi decidere se utilizzare queste esperienze in modo costruttivo o distruttivo. Per tutti questi motivi credo sia doveroso terminare queste mie considerazioni con questa frase:

“Il legame che unisce la famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. Non è la carne, nè il sangue ma il cuore che ci rende genitori e figli” (S. Natalini dal libro “In famiglia” ed. Fatatrac)